Dal 15 agosto 2014 i Medici iscritti all’Albo della professione sono tenuti a sottoscrivere una polizza di Responsabilità Civile Professionale: l’obbligo è stato introdotto con il D.P.R. 137/2012 del 7 agosto 2012 e successivamente modificato con il D.L. 69 del 21 giugno 2013.
La compagnia fondata nel 1896 è tra le realtà più solide del mercato italiano ed in un settore delicato come la responsabilità civile garantisce che la compagnia sia sempre in grado di onorare i suoi impegni contrattuali.
L’ammontare del patrimonio netto rilevabile dall’ultimo bilancio approvato è pari a 1.341 milioni di euro (capitale sociale: 170 milioni di euro – totale riserve patrimoniali: 1.087 milioni di euro).
L’indice di solvibilità della gestione danni è pari a 3,99 ed è determinato dal rapporto tra l’ammontare del margine di solvibilità disponibile e l’ammontare del margine di solvibilità richiesto dalla normativa vigente.
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(Autore: Giuseppe Bonfiglio, vicepresidente dell’Ordine dei medici di Milano e ortopedico del Cto – Panorama)
Si chiama «medicina difensiva»: è il moltiplicarsi inutile, invasivo e costoso di esami, accertamenti e indagini diagnostiche. Eseguiti non per il bene del paziente, ma per tutelare clinici e ospedali da eventuali denunce da parte dei malati. Questa pratica, però, sta diventando un problema ingestibile. Per il bilancio della sanità
La «medicina difensiva» è uno dei più grossi problemi che abbiamo in sanità: ossia il ricorso a esami, test, accertamenti, prestazioni che il medico richiede non per tutelare il paziente bensì se stesso, per preservarsi da richieste di atti risarcitori e denunce. Purtroppo tutto questo si traduce in una spesa che nel 2014 è arrivata a 13 miliardi di euro, l’equivalente di una manovra finanziaria. Soldi buttati via. Per la medicina difensiva si spende ormai poco meno di quanto si investe in ricerca.
Alla base di questo atteggiamento ipercautelativo c’è l’aumento di denunce da parte dei pazienti: dal 1998 a oggi le azioni di rivalsa contro i medici sono aumentate di 4-5 volte. È cambiato il rapporto medico-paziente. Non sempre in peggio, certo, ma oggi il malato ha aspettative alte, vuole che il medico risolva tutti i problemi, pretende la guarigione. Ma il medico può curare, non sempre guarire. Ed è difficile da accettare: così se non guarisco è colpa del medico o dell’ospedale, che diventano il bersaglio di cause e denunce. Le assicurazioni in campo sanitario hanno raggiunto costi in totale di 500 milioni di euro. E i premi assicurativi sono lievitati: 6-8 mila euro l’anno per un ortopedico, 18 mila per un chirurgo plastico, 14 mila per un ginecologo (le specialità maggiormente sottoposte ad azioni risarcitorie). Tanti ospedali hanno scelto l’autoassicurazione, ossia accantonano ogni anno una cifra per coprire potenziali rischi: 3 milioni di euro l’anno in media per gli ospedali grossi, una cifra non sempre sufficiente e ottenuta facendo tagli altrove.
Da tutto questo, però, il paziente non trae beneficio, al contrario. Se c’è un sospetto di malattia è giusto fare tutti gli accertamenti necessari. Ma è sempre così? È sempre giustificata una tale spesa? L’accumulo di raggi X, tac, risonanze magnetiche e altro causa lunghe liste d’attesa e ritardi nel trattamento terapeutico; senza contare il moltiplicarsi di esami invasivi o sgradevoli, o semplicemente inutili.
Infine: il medico pensa di tutelarsi, ma la medicina difensiva rischia di diventare un boomerang, un elemento di colpa. Faccio un esempio: se io richiedo quattro risonanze magnetiche e poi mi trovo di fronte al giudice per una denuncia, quel giudice si chiederà come mai ho fatto fare quattro volte gli stessi esami e non ho affrontato prima il problema di quel paziente. Perché ho perso tempo prezioso prima di giungere a una diagnosi e una cura.
È un fenomeno di difficile soluzione. Ma che va affrontato. In Italia la spesa globale della sanità sale di 2,2 punti percentuali l’anno. Nel 2014 è costata 112 miliardi di euro, una cifra impressionante. Quando si parlerà di tagli alla sanità, i costi inutili della medicina difensiva dovrebbero essere un argomento centrale.
Le assicurazioni italiane assicurano sempre meno i rischi di malpractice degli ospedali italiani. In Toscana, Liguria, Puglia, Basilicata ed ora anche in Sicilia le compagnie sono uscite di scena, sostituite da forme di autoassicurazione o non assicurazione. Nelle altre regioni prevale un sistema misto in cui si ricorre ad una polizza soltanto per coprire i sinistri di importo maggiore. Gli ultimi dati appena pubblicati dell’Ania, relativi al 2012, riflettono questo trend. La stima dei premi nelle coperture assicurative degli ospedali è in diminuzione (-4,3%, a 288 milioni). Includendo anche le polizze dei medici la raccolta del ramo è invece in crescita (+3,6%, a 543 milioni). Nel 2012 sono stati denunciati 31.200 sinistri in leggero decremento (-0.8%) rispetto all’anno precedente. La riduzione è più consistente (-8%) rispetto al 2010 quando le richieste di risarcimento raggiunsero il picco. Il bilancio tecnico del ramo continua a evidenziare un significativo squilibrio (rapporto sinistri a premi pari al 122% nel 2012) anche se con intensità attenuata rispetto agli anni critici del passato decennio. A partire dal 14 agosto prossimo scatta l’obbligo di assicurazione dai rischi di r.c. professionale per i medici (con l’esclusione dei dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale). Oltre il 50% degli “eventi avversi” in sanità potrebbero essere evitati con appropriate misure di risk management. In materia di malpractice l’Italia sconta un ritardo più che decennale rispetto alle riforme strutturali intraprese in molti paesi (tra cui Usa, Francia, Gran Bretagna, Irlanda) nel periodo 2000-2003
Le regioni italiane hanno intrapreso con decisione la strada dell’autoassicurazione (o della non assicurazione) per fronteggiare i rischi di responsabilità civile nei casi di malasanità. Attualmente soltanto la Valle d’Aosta e la Provincia di Bolzano si affidano ancora interamente al mercato assicurativo per rimanere indenni dagli effetti degli errori medici. Per il resto gli enti locali gestiscono per proprio conto le richieste di risarcimenti con schemi regionali o affidati alle singole Asl. E, quand’anche si rivolgono ad un assicuratore, lo fanno ormai solo per coprire i sinistri di maggiore entità (per importi superiori ai 250-500 mila euro).
E’ questo il quadro che emerge dal dossier Ania “Malpractice, il grande caos”, dedicato al fenomeno sempre meno governato della medical malpractice negli ospedali italiani. Il report – ne è autore il giornalistaRiccardo Sabbatini – è stato presentato oggi a Roma nel corso di una conferenza stampa cui hanno preso parte – tra gli altri – il presidente dell’Ania Aldo Minucci, il direttore generale Dario Focarelli ed il direttore centrale del settore vita, danni e servizi, Roberto Manzato.
L’ultimo esempio di abbandono dello strumento assicurativo è quello della regione Sicilia dove la polizza in essere, disdettata a fine 2013, è scaduta dal primo luglio scorso lasciando prive di protezione le Asl locali poiché nel frattempo non è stato ancora costituito uno specifico fondorischi promesso dal presidente della regione Rosario Crocetta. In questi frangenti, segnala l’associazione delle imprese assicurative, il minore ricorso alle assicurazioni “comporta un più debole sistema di garanzie, dando minori certezze di risarcimenti equi e rapidi a chi è rimasto vittima di un episodio di malasanità e rendendo più incerta l’attività del personale sanitario esposto a maggiori rischi professionali”.
Appena due anni fa – segnalava un’indagine parlamentare sugli errori medici conclusa all’inizio del 2013 – il 72,2% delle Asl italiane risultava ancora coperto da una polizza. Un così veloce cambiamento è soprattutto la conseguenza del continuo aumento nei costi dei risarcimenti e della crescente difficoltà a stimare i rischi, ciò che ha spinto i principali assicuratori italiani ad essere più selettivi nella copertura dei rischi.
“Gli assicuratori italiani intendono tornare a svolgere pienamente il proprio ruolo nella copertura dei rischi medici – ha sottolineato il Presidente ANIA Minucci – dando certezze ai pazienti vittime di “eventi avversi” e ai medici che svolgono la loro attività. Per far questo però occorre rimuovere le cause di fondo che hanno reso ingovernabile il fenomeno della malpractice. In particolare è necessario intervenire per: circoscrivere la responsabilità dei medici e delle strutture sanitarie; attuare idonee misure di gestione del rischio attraverso la nomina di un risk manager in tutti gli ospedali; porre un tetto ai danni non patrimoniali con l’approvazione delle tabelle di risarcimento dei danni biologici; definire linee guida mediche validate anche per contrastare il fenomeno della medicina difensiva che pesa per oltre l’11% sulla spesa sanitaria”.
Le difficoltà di reperire una copertura – si legge in una nota – riguardano soprattutto le strutture sanitarie mentre quelle individuali relative ai medici sono normalmente disponibili senza particolari difficoltà. Il settore è tra l’altro alla vigilia di un’importante novità. A partire dal prossimo 14 agosto i medici dovranno essere obbligatoriamente assicurati contro i rischi della responsabilità civile, secondo quanto prevede la legge n.148/2011. È una disposizione dalla quale il recente decreto legge sulla “semplificazione” ha esonerato i dipendenti del servizio sanitario nazionale, sia pure con una norma contorta che lascia aperti diversi dubbi interpretativi.
Gli ultimi dati dell’Ania sul fenomeno della medical malpractice, pubblicati in questi giorni, confermano i trend in corso. A fine 2012 (ultimo anno disponibile) la stima dei premi nelle coperture assicurative di ospedali e strutture sanitarie per la prima volta ha mostrato un decremento (-4,3% a 288 milioni) nonostante i presumibili significativi aumenti tariffari resi necessari per fronteggiare le continue perdite del ramo. Includendo anche le polizze sottoscritte direttamente dai medici (255 milioni, +14%) nel 2012 sono stati incassati premi per complessivi 543 milioni (+3,6% rispetto all’anno precedente). La stima dei sinistri denunciati alle imprese di assicurazione italiane nel 2012 è risultata pari a 31.200 (di cui 19.500 relativi a polizze stipulate dalle strutture sanitarie), con una lieve riduzione (0,7%) rispetto all’anno precedente. Il rapporto tra sinistri e premi (loss ratio) per le varie generazioni di sinistri si attesta al 173 per cento. Per ogni 100 euro di premi incassati, cioè, le compagnie ne hanno pagati (o stimano di pagarne) 173 sotto forma di risarcimenti. Tuttavia, mentre fino al 2005 il disavanzo tecnico aveva assunto valori particolarmente elevati, con un rapporto tra sinistri e premi giunto a superare il 310 per cento, negli ultimi anni lo squilibrio è risultato più contenuto. In particolare per il 2012, secondo le valutazioni preliminari, il loss ratio si è attestato al 122 per cento.
Il dossier evidenzia inoltre le seguenti criticità che secondo ANIA “è necessario risolvere per mettere sotto controllo il fenomeno”:
Per ANIA è infine sconsolante il confronto con le principali esperienze estere. In molti paesi, tra i quali Usa, Gran Bretagna, Francia, Nuova Zelanda e Irlanda, riforme organiche in materia sono state decise tra il 2000 ed il 2003 ed il fenomeno della medical malpractice non rappresenta più un’emergenza.